LETTERA DA MONTE SENARIO
Mese di novembre 2018

PACIFICAZIONE CON NOI STESSI
Una domanda precisa a ciascuno di voi “Tu vuoi bene a te stesso?”. Sono sicuro che otterrete una lunga serie di inequivocabili “No”. E non è una posa, è vero. E’ probabilmente vero anche per molti di voi che state leg¬gendo.
Cerchiamo una riprova: voi siete tutti persone educate; perciò quando uscite di casa al mattino e incontrate la portinaia in fondo alle scale le fate un sorriso e le dite : “Buongiorno!”.
Ma quando al mattino incontrate voi stessi riflessi nello specchio del bagno, subito dopo esservi alzali dal letto, sono certo che non vi dite “Buongiorno!”, o almeno mollo pochi di voi lo fanno. E neppure vi sorridete. Anzi, è proprio il momento in cui vi piacete di meno, vi trovale mille difetti , vi fate le boccacce. Provate domattina a fare la stessa cosa con la portinaia; e poi scappate rapida¬mente, perché se vi tira dietro la scopa ha perfettamente ragione . Questa è una delle prove, la più clamorosa, forse, ma non la più importante, che trattale voi stessi peggio della portinaia; è la prova che non vi piacete, non vi stimate, non vi volete bene. Ciascuno di noi si sottomette a un lavoro molto faticoso, per farsi volere bene dagli altri ; e non sa quanto tem-po della sua vita passerà insieme con quelle persone. Non fa niente invece, o ben poco, per voler bene a se stesso, mentre una delle poche certezze di questo mondo, forse l’uni¬ca, è che ciascuno di noi vivrà con se stesso per tutta La vita. E può essere estremamente sgradevole passare tutta la vita insieme con una persona che non ci piace molto, che non amiamo e che non stimiamo. Una brutta condanna, che non ci sentiremmo di infliggere al nostro peggiore nemico; perché in questo ca¬so insieme non significa solo nella stessa stanza, ma addirittura nella stessa pelle. Non c’è da stupirsi che molte persone siano perennemente inquiete, irascibili o depres¬se, alla ricerca di una improbabile soluzione all’esterno di sé. La convivenza con se stessi può arrivare a limiti di sgradevolezza insopportabili, può veramente rovinare tutta la vita. Perché è una convivenza (una condanna) a vita, proprio come un ergastolo.
La conseguenza di queste considerazioni è che, se non si vuole lasciare tutto come sta, ma si vuole anzi che le cose cambino in meglio, bisogna entrare nell’ordine di idee di piacersi, di stimarsi, di volersi bene. Il come viene dopo: prima bisogna convincersi che è necessario, che è possibile, che è lecito. Perché a qualcuno sembrerà addirittura una cosa sconveniente, amare se stesso: una sorta di narcisismo, qualcosa di scorretto e di inconfessabile. Cominciamo a riconoscere queste strane ottiche di falso moralismo; e rendiamoci conto che la lezione anche morale che ci arriva dai grandi maestri è ben diversa. Cristo, che penso possa essere considerato da tutti una persona che non parlava a caso, ha detto: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. La parola come, in seguito interpretata in modo molto diverso, stabilisce in realtà una uguaglianza, come in una equazione. Vuol dire, in pratica, di dare la stessa misura di amore a noi stessi e agli altri; ed es¬sendo una equazione il discorso rimane valido anche all’inverso: “Ama te stesso come il prossimo tuo”. Ciascuno dei due oggetti dell’amore è la misura dell’altro: non gli altri più di te, non te più degli altri. Ma neppure meno, mi pare ovvio.
Bisogna che ci rendiamo conto che questa è veramente l’unica via per arrivare a vivere nella maniera migliore: noi e anche gli altri. Perché se continuiamo a portarci dentro questo blocco di sentimenti negativi nei nostri confronti, ben difficilmente potremo dare e ricevere amore. Non si può dare quello che non si ha: non si può dare amore se non ci si ama, stima se non ci si stima, serenità se si è inquieti, equilibrio se non si è in equili¬brio.
Ecco allora che amare se stessi, invece di essere quella brutta azione egoistica che sem¬brava, diventa in questa ottica un presuppo¬sto insostituibile per poter amare concreta¬mente gli altri; e si capisce perché si sente di¬re sempre più spesso, anche se in maniera non molto chiara, che per poter dare qualco¬sa agli altri bisogna prima lavorare su se stes¬si. Perché è illusorio pensare di poter compensare la vita da ergastolano, insieme a un se stesso sgradevole, con la ricerca affannosa di gradevolezza da parte degli altri. Rimane tutto falso, perché falso è il presupposto di base. (NP)..

LETTERA DA MONTE SENARIO

La liturgia della solennità dell’Assunta ci propone da meditare il canto di Maria :l Magnificat.
L’anima mia magnifica il Signore! Che mi piace tradurre così: cerco nel cuore le più belle parole, l’anima danza per il mio amato. Cerco le più belle parole, le migliori che ho ,le più belle che so. Elisabetta ha introdotto
la melodia, ha iniziato a battere il ritmo dell’anima, e Maria è diventata musica e canta. Il suo corpo si trasforma in salmo, individuale prima e poi collettivo. Inizia con lo sguardo posato sulla sua vicenda personale e poi si allarga al popolo e va fino ad abbracciare le generazioni che verranno .Una ragazzina, una adolescente capace di sentire in grande, di pensare in grande, radicata nella sua casa ma con le finestre spalancate ai grandi venti
della storia. Una ragazza coraggiosa e libera, credente gioiosa, che descrive una storia totalmente altra, la rivoluzione di Dio. E l’esultanza del magnificat nasce da qui, dal vangelo della vita: Dio viene come vita. Non manda eserciti, ma le armi della luce. Non invia legioni di angeli ma vita nel grembo delle madri .Nel disegno cosmico della salvezza la rappresentazione più luminosa della divina opera creatrice consiste nella procreazione umana. Dio agisce nella storia non con le gesta spettacolari di grandi eroi, ma attraverso il miracolo umile e strepitoso della vita: un ventre che lievita,
una ragazza che dice sì, un grembo sterile che è fiorito e in cui, nell’abbraccio delle madri, danza di gioia un bimbo di sei mesi. Santa Maria assunta in cielo, vittoriosa sul drago, vestita di luce, portatrice di vita, fa scendere su di noi una benedizione di speranza, consolante, su tutto ciò che rappresenta il nostro male di vivere: benedizione
sugli anni che passano, sulle tenerezze negate, sulle solitudini patite, sul decadimento di questo nostro corpo, sulla corruzione della morte, sulle sofferenze dei nostri cari, sul nostro piccolo o grande drago rosso, che ci insidia ma che non vincerà, perché la bellezza è più forte della violenza. Santa Maria ci aiuti ad abitare la terra come Lei, benedicendo le creature e facendo grande Dio. Ci aiuti a camminare portati dall’avvenire di cielo che è già in noi, da un futuro che cresce e si arrampica in questo nostro cuore opaco come un germoglio di luce. (Ermes Ronchi)

Preghiera
Benedetta Tu fra le donne che sono tutte benedette.
A tutti i frammenti di Maria, a tutti gli atomi di Maria
sparsi nel mondo e che hanno nome donna,
rivolgiamo oggi la nostra benedizione
e quella del cielo.
Ave, o donna, che tu sia piena di grazia, che con te sia la forza dello Spirito Santo. Che sia benedetto e benefico
all’umanità il frutto del tuo grembo, il frutto di tutta la
tua vita.
Che tu possa pacificare la terra, riconciliare i fratelli nemici, far risorgere Abele, cancellare Caino,
ricondurre tutta la terra al Padre, nell’amore del Figlio, nella grazia dello Spirito. Amen
(Giovanni Vannucci )

LETTERA DA MONTE SENARIO

All’interno dell’ultima cena   si situa il problema di Giuda; il testo dice: “mentre cenavano e il diavolo che ha i suoi progetti su Giuda, allora si alzò da tavola e depose le vesti..”. Quindi, proprio lì dove comincia la lavanda dei piedi, Giovanni irrompe con questa realtà di contrapposizione che è quella di Satana e Giuda. Gesù decide di dare la vita per i suoi, ma tra questi suoi, come protagonista fondamentale c’è Giuda, c’è colui che rifiuta e tradisce, c’è il peccato, ci siamo noi ; c’è tutto il problema di cosa vuol dire riconciliazione in rapporto con questa Eucaristia, simboleggiata nella lavanda dei piedi. Il rapporto con Giuda ha qui la funzione di rivelare in modo privilegiato che cosa vuol dire che Gesù ama i suoi fino alla fine. D’altra parte questo è normale  : dove si vede la misura di un amore ? Lì dove l’amore si scontra con il rifiuto, la resistenza, il tradimento. E’ lì che si vede se l’amore è capace di andare fino in fondo, è capace di arrivare alla fine  ; è facile amare chi ci ama ! Il problema è che cosa fa il nostro amore quando siamo davanti a coloro che invece ci odiano. La vera lotta, il vero scontro è tra Gesù e Satana. E Giuda è in questo momento il discepolo in pericolo. Il discepolo che deve prendere una decisione difficile.

E Gesù lo sa.

E proprio perché è una decisione difficile, proprio perché quello è il discepolo in pericolo, Gesù porta il suo amore fino alla fine per quel discepolo, oltre che per tutti gli altri. E’ Giuda sotto la minaccia e perciò potremmo dire, in qualche modo, oggetto di un amore particolare. E come si manifesta adesso questo amore particolare di Gesù ? Innanzitutto la lavanda dei piedi. Badate, quando Gesù lava i piedi ai suoi, Giuda è lì, non se ne è ancora andato. Non  ha ancora deciso. Dunque, quel gesto così forte che Gesù fa, che è quello di significare la sua vita, non lo fa solo per Pietro, con cui dialoga, non solo per gli altri discepoli, ma lo fa  anche per Giuda. Gesù lava i piedi di Giuda. E con questo gesto Gesù sta dicendo a Giuda : guarda che io ho deciso di dare la mia vita per te. Eccola.
(pof.ssa  Bruna Costacurta)

Lettera apostolica del santissimo Padre in Cristo e Signore nostro
Leone XIII  con la quale sono decretati gli onori dei Santi ai Beati VII Fondatori dell’Ordine della Beata Maria Vergine 22 gennaio 1888

LETTERA DA MONTE SENARIO

Firenze, la madre e nutrice di grandi e santi uomini, ha generato nel secolo tredicesimo dopo Cristo sette di questi intercessori: ce ne rallegriamo vivamente con la nostra Italia. Questi sono i loro nomi: Bonfiglio Monaldi, Bonagiunta di Manetto, Manetto dell’Antella, Uguccione degli Uguccioni, Amadio degli Amidei, Sostegno dei Sostegni, e Alessio Falconieri.
Essi, trovandosi a vivere in tempi turbolentissimi, sia  per il terribile e tristissimo scisma di Federico II, sia per le sanguinose discordie civili che minacciavano di annientare la civiltà cristiana trascinandola in un precipizio, ritennero che non adoperandosi per opporsi a tanti mali ci si separava  dalla religione e dai comandamenti di Cristo. Si iscrissero perciò a un’associazione di uomini devoti, già sviluppatasi a Firenze, che per le lodi rivolte alla Beata Vergine (lodavano infatti la Vergine affinché per mezzo di lei Cristo nostro redentore e giudice fosse propizio) era contraddistinta con il titolo di Laudesi, e in breve avvenne che per la loro virtù e i loro esempi quella pia società crescesse fino a duecento uomini, ragguardevoli per censo e nobiltà. Ciò accadde circa l’anno del Signore 1233. Nello stesso anno, mentre i sette Uomini nel giorno dedicato alla Vergine accolta in Cielo pregavano con maggiore fervore nella predetta associazione, sembrò loro di vederla e di udirne l’invito a intraprendere un genere più perfetto di vita, abbandonare la nobiltà della famiglia e le ricchezze e dedicarsi completamente al servizio di Cristo. i Sette distribuirono ai poveri il rilevante patrimonio e, indossato il cilicio sotto vesti vilissime e logore, si ritirarono nel medesimo anno, nel giorno natalizio della Beatissima Vergine,  in una piccola casetta di campagna a Villa Camarzia, vicino alla città.
Qui poi stabilirono per sé queste osservanze: prediligere Dio, stando uniti tra loro con somma carità; amare il prossimo; domare il corpo con continui tormenti, alimentare lo spirito con una assidua contemplazione e preghiera, rendendolo celeste, per quanto è possibile sulla terra.
Gli impegni che si erano proposti li portarono con l’aiuto di Dio a tale perfezione che i fiorentini, ammirati dalla loro perseveranza in un genere di vita estremamente difficile, li reputarono più che uomini e Dio confermò l’opinione del popolo con un grandissimo e dolcissimo miracolo.
Si narra infatti  che mentre i nostri compagni andavano elemosinando, per vivere, alle porte delle case, non solo i bambini ma anche i neonati li acclamarono con queste parole: “Ecco i servi della Beata Maria Vergine: ecco i servi della Beata Maria Vergine”.….dopo questo miracolo i Sette Beati, spinti dall’umiltà e insieme dal  desiderio di meditare lontano dalle folle, in maniera più tranquilla e quindi più approfondita, i misteri della Passione del Signore e i dolori della santissima Vergine, si ritirarono sul Monte Senario.
Quanto grandi poi siano state qui la loro santità, l’austerità, la concordia, la manifestazione sincera e superiore alla misura umana  delle altre virtù, in particolare della fede, della speranza e della carità, lo annota con queste parole Benedetto XIV:  i Sette Fondatori vissero nell’eremo così piamente e santamente e con tanta mortificazione dei sensi.
Vivevano  infatti in grotte, accontentandosi solo di acqua e di erbe; e frattanto castigavano il corpo con veglie e cilici per ridurlo a servizio dello spirito. Avvenne quindi che si verificasse un frequente concorso di persone all’eremo: molte di esse desideravano ardentemente di unirsi come compagni ai nostri Beati.…………avvenne la terza domenica di quaresima nell’anno 1239: i sette Beati videro una piccola vite, da loro piantata poco prima sul Monte Senario, ridondante improvvisamente  di fiori, di fronde e di grappoli copiosissimi.
La Vergine clementissima non solo ispirò, ma apparendo ai Beati l’anno seguente 1240, nel giorno della Parasceve, indicò ed espose tutta la natura del futuro Ordine. Dispose che i nuovi membri dell’Ordine, vestiti di una veste nera, andassero ricordando i suoi dolori; comandò che osservassero la regola di sant’Agostino; consacrò poi il nome  della famiglia religiosa, quello cioè di “Servi di Maria”.